DANTE 700

di e con Cinzia Ordine e Roberto Sbaratto


Vi siete chiesti perché, a distanza di 700 anni dalla sua stesura, la Commedia dantesca, in particolare l’Inferno, sia ancora così viva nella cultura “mondiale”?
Perché l’opera del “divin poeta” è stata tradotta integralmente in circa sessanta lingue di tutti e quattro i continenti (e l’Inferno in molti più idiomi ancora) oltre che in numerosi dialetti italiani, tra cui il vercellese nel 2002, ad opera di Giovanni Guaita e Federico Bavagnoli?
Perché non si è mai discusso seriamente sull’eliminazione della lettura delle Cantiche dantesche dai programmi della scuola italiana?
La risposta più frequente e riduttiva è: perché senza Dante non ci sarebbe la lingua italiana.
Ma forse sarebbe meglio affermare che Dante è parte integrante dell’essere italiani e non solo: è parte integrante della cultura del mondo intero. Non scandalizzatevi… Potremmo dire che lo è né più né meno di Giuseppe Verdi, dei Beatles e di Bob Dylan. Solo che l’Alighieri permea il nostro modo di pensare da un tantino più di anni: dal 1300, appunto.
L’opera di Dante, l’Inferno soprattutto, scritto a partire dal 1304, già dopo pochi anni cominciava a girare informalmente in forma manoscritta, ma ancor prima era sulla bocca di tanti suoi contemporanei, non solo colti; era raccontata più o meno fedelmente, quasi fosse un feuilleton o una rivista di gossip, nelle taverne, per le strade e nei mercati, né più né meno di come venivano cantate dalla gente comune nel 1800 le arie di Verdi, o, più di recente, le canzoni dei Beatles, appunto.
Ecco perché Dante è “dentro di noi”, nel nostro modo di parlare e di pensare: chi non ha mai definito “senza infamia e senza lode” qualcuno o qualcosa di assolutamente banale e indegno di attenzione? O chi non ha mai pronunciato l’espressione “sola soletta”, per indicare una persona che se ne sta in disparte? O, ancora, quante volte abbiamo sentito liquidare una decisione presa dall’alto con la frase “…vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole…”? Pensate che questa affermazione, coniata da Dante, era già talmente popolare poco dopo la diffusione del testo che, nel 1317, quasi quattro anni prima della morte del poeta, e la si trova riportata niente meno che in un registro ufficiale a Bologna.
Insomma, Dante era ed è tuttoggi un autore “pop”, diremmo noi: e lo è sempre stato, fin dalla prima stesura dell’Inferno. Perché è inutile negarlo, proprio l’Inferno sdoganò la popolarità del poeta tra i suoi contemporanei. Il Purgatorio e il Paradiso, infine, lo decretarono “divino”.
Ecco, tra le tante iniziative che in questo settecentenario hanno rievocato l’opera dantesca, quella che l’Associazione culturale “Il Porto” intende proporre l’11 e il 12 settembre al Museo Leone ha questo di peculiare: andare a scandagliare l’opera dantesca, per lo più l’Inferno, alla ricerca di quelle influenze più o meno note che fanno della Commedia un’opera “pop” e che sono entrate nel nostro immaginario e nel nostro modo di parlare, di pensare e di vivere. Sarà un percorso, guidato dalla voce narrante di Cinzia Ordine e dalla recitazione di Roberto Sbaratto, un po’ lontano dalla consueta lettura dantesca e un po’ più nelle corde dell’attualizzazione, come nello spirito dei lavori originali del “Porto”.

L’appuntamento è per le ore 17.30, nel Cortile della fontana di Palazzo Langosco, sabato 11 e, in replica, domenica 12 settembre. L’ingresso, come di consueto è da via Verdi.
Sarà un’ottima occasione per accompagnare lo spettacolo con la visita alla mostra “e poi diventò divina…”,
allestita nella Sala d’Ercole del Museo Leone e dedicata alle edizioni rare della Divina Commedia tra Vercelli e il
Vercellese, con l’Alto patrocinio della Presidenza della Repubblica e della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
L’evento è realizzato anche grazie al contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Vercelli.

Ingresso: 10.00 € con prenotazione obbligatoria e Green Pass
Per info e prenotazioni: Tel. 0161 253204 (fino a Venerdì ore 12.30)
379 2834818 (da Venerdì pomeriggio)
e-mail: info@museoleone.it